
Il vento ara il cielo di Dario Lanfranca

"Stava appesa lì sull'albero una collana lunga, azzurro celeste, d'acquamarina e, più che appesa, sembrava imprigionata nella ramatura dell'azzeruolo come se qualcuno ce l'avesse gettata d'impeto. A Sabrina parve che il contorno della collana formasse l'immagine un pò confusa della santa madre del nostro Signore."
Con queste parole si apre il romanzo d'esordio di Dario Lanfranca, Il vento ara il cielo, pubblicato da Minimum Fax nel luglio 2025. Un incipit che cattura subito l'attenzione e introduce Sabrina, uno dei personaggi centrali della vicenda.
Siamo nelle campagne di Agrigento nel 1959. Sabrina è una ragazza muta che sembra vivere in un mondo a parte quasi sospeso tra sacro e profano, fa parte della famiglia La Manna. È la figlia femmina di Gregorio, padre-padrone, e di Liana. Ha due fratelli: Errico e Gaspare. L'episodio iniziale – la collana che Sabrina interpreta come segno di fede e speranza – si rivela in realtà qualcosa di molto terreno e profano. Con esso, l'autore apre subito la porta sul contesto in cui si muove la storia: una Sicilia in trasformazione, dove la mafia fa un salto in avanti nell'accaparrarsi spazi di potere in ogni ambito: dalle costruzioni alla politica, passando dagli appalti pubblici e così via.
Il punto di vista scelto da Lanfranca è quello della famiglia La Manna, un microcosmo che riflette le contraddizioni di un'intera società. Gregorio è il padrone che ogni cosa vuole e ogni cosa si prende. Errico e Gaspare, due giovani brillanti ma profondamente diversi, si trovano – consapevolmente o meno – a inciampare in quel male che tutto infetta. In quel meccanismo di legge atavica dettata dal capofamiglia restano imbrigliate Sabrina che non riesce a esprimere nulla, tanto meno il suo dissenso, e Liana, donna devotissima sempre dedita alla carità e ai pellegrinaggi.
Attorno a loro si muovono altri co-protagonisti come Calogero, fratello di Liana, e suo figlio Marco. Tutti, nel corso del romanzo, subiscono una trasformazione dolorosa, una metamorfosi che riflette l'ambiente esterno. È un passaggio necessario, che mette in luce ciò che accade nei territori di Agrigento e Palermo: un'aria che diventa lentamente insalubre. Chi la respira può reagire in due modi: trattenere il fiato, cercando di resistere senza lasciarsi contaminare, oppure lasciarsi andare e diventare parte dell'amalgama, assuefatto al respiro collettivo.
La narrazione di Lanfranca è focalizzata sui personaggi di cui il lettore può constatare la storia personale e farsi una propria idea sulle azioni che tutti compiono, ma si intreccia a fatti realmente accaduti, come l'omicidio di Cataldo Tandoy, capo della squadra mobile di Agrigento, ucciso nel 1960 – un delitto mafioso travestito da passionale – e la costruzione della diga Garcia, subito diventata terreno di scontro per il controllo mafioso.
Colpisce un passaggio dedicato a Sabrina:
"All'inizio ebbe paura. Le automobili sfrecciavano senz'alcun riguardo per i pedoni che sembravano non prendersela a male, anzi ogni volta che riuscivano ad attraversare si profondevano in ampi gesti di ringraziamento. Una comune inclinazione alla prevaricazione spingeva gli automobilisti ad accelerare e i pedoni a ringraziare, i politici a rubare e i cittadini a comprendere senza mai lamentarsi: il gioco di sopraffazione e remissione si fondava sulla consapevolezza che il pedone in altro momento sarebbe diventato automobilista e il cittadino, se solo ne avesse avuto la possibilità, non si sarebbe comportato diversamente dal politico."
Ho voluto riportarlo non tanto per l'azione della protagonista, quanto per il concetto che attraversa l'intero romanzo: la "prevaricazione" come filo conduttore, come logica profonda che regge rapporti e destini.
Il vento ara il cielo rivela una scrittura già solida e scenica, capace di far emergere voci diverse come in un palcoscenico. La voce narrante si sposta di volta in volta, adattandosi al personaggio che occupa la scena. La formazione da regista e sceneggiatore di Lanfranca – autore di cortometraggi come L'altro figlio (2017) e Giudè (2025), e del saggio La spugna d'oro (Rubettino, 2019) sulle origini della mafia – traspare con chiarezza: c'è un gusto per l'inquadratura e per la scena, unito a una vena ironica che alleggerisce e rende più pungente il racconto.
Ho apprezzato in particolare i co-protagonisti Calogero e Marco: pur osservando mutamenti e degenerazioni intorno a sé, riescono a mantenere una certa integrità, quasi ultimi baluardi di una vita più semplice, lontana dai giudizi e onesta.
Ci sono momenti e fatti in questa storia che fanno riflettere molto, che fanno capire come funzionavano le cose allora e come funzionano le cose adesso. Il vento ara cielo è un romanzo che sa raccontare in una lingua chiara, ironica e intensa quel che è un dato: la contaminazione viene da lontano, si è insinuata in ogni piega della società e i segni sono evidenti, chiari e palesi. La parte affascinante di questa storia è che il lettore può inserirsi e paragonare se stesso ai personaggi che incontra per farsi un'idea sul proprio modo di vedere le cose. Che poi è lo scopo della letteratura, no?
Complimenti a Dario Lanfranca per un esordio così maturo. Spero che nelle sue opere future mantenga lo stesso spirito ironico e scenografico che rende questo romanzo una lettura tanto coinvolgente.
Grazie a Minimum Fax.