La Madre di Grazia Deledda

29.04.2022

"Tutto l'universo s'era capovolto, gli si era versato dentro, in un caos di pietre, di rottami, di rovine; ed egli vi si piegava sopra a guardare, come ragazzini guardavano i burroni della valle dai macigni lungo il sentiero."

Le vicende che Grazia Deledda ci racconta in questo suo romanzo, pubblicato nel 1919 a puntate sul giornale Il Tempo e poi divenuto romanzo nel 1920 per volontà dell'editore Treves, sono ben avviate già nelle prime pagine. Il lettore si trova a conoscere le riflessioni e le preoccupazioni di una madre nel momento in cui ha intuìto il turbamento del proprio figlio attraverso le azioni che lo stesso compie. Nelle ore notturne Paulo esce di nascosto e Maria Maddalena, la madre, se ne accorge seppur i movimenti dello stesso sono misurati, quasi impercettibili; vorrebbe fermarlo, lo insegue addirittura per le stradine del paese sferzate da un vento forte che travolge e stravolge, non riuscendo nell'intento.

L'elemento principale che conduce la storia verso un tema interiore, forte e doloroso per i protagonisti, è il ruolo che ricopre Paulo: parroco di Aar, un piccolo paesino nel cuore della Sardegna. Paulo vive un turbamento psicologico molto forte, forse il più pesante per chi ha scelto di votarsi a Dio e dedicarsi alla purificazione delle anime degli uomini: si è innamorato di una donna e di notte, esce furtivamente dalla canonica per incontrarla.

Grazia Deledda porta il lettore a vivere il turbamento, il pensiero, il dolore dei due protagonisti attraverso un flusso di sensazioni, pensieri e paure che trasporta dalla madre al figlio e viceversa, subendo le loro contrazioni emotive. Le descrizioni dei personaggi e dei luoghi rendono le immagini vivide. 

"Le sembrava di vederlo, adesso, come la parete divisoria si fosse spaccata: nero sullo sfondo della sua camera tutta bianca, alto, fin troppo alto, dinoccolato, andava e veniva col suo passo distratto di ragazzo, inciampando scivolando spesso, ma tenendosi sempre in equilibrio. Aveva la testa un po' grossa sul collo sottile, e il viso pallido oppresso dalla fronte prominente che pareva costringesse le sopracciglia ad aggrottarsi per lo sforzo di reggerla e gli occhi lunghi a star socchiusi; mentre le mandibole forti, la bocca grande e carnosa e il mento duro parevano a loro volta ribellarsi con sdegno a questa oppressione, senza però potersene liberare."

Ecco Paulo. Una descrizione chiara fin nei particolari, che ci fa da guida attraverso le pagine, sia quando ascoltiamo il suo pensiero che quello della madre. Paulo ci appare nel suo essere indeciso ma definito, combattuto ed accorato, chiaro nella sua fisicità.

Le vicende in cui veniamo calati si svolgono in due giorni e non si concretizzano in sole azioni. Gli elementi che la Deledda inserisce nella narrazione sono molti e ne costituiscono parte integrante, la completano, tanto che la trama potrebbe essere definita in poche parole, ma è l'intensità delle emozioni che non può essere facilmente contenuta. 

Non si potrebbe intendere il turbamento di Maria Maddalena (nome che non è dato a caso) e di Paulo se non vi fosse il forte vento a percuotere le porte ed a fischiare tra le mura del paese e nella valle. Il vento che accarezza e travolge le loro vite e quelle di chi vive in quel luogo, diventa "presenza viva". E' il diavolo che si presenta in quella veste e che impedisce di agire liberamente, spinge o contrae i movimenti, offusca la vista. Né Paulo, né la madre sono lucidi nelle decisioni da prendere e nelle azioni da compiere. Paulo vorrebbe scappare, la madre gli ricorda i suoi doveri, cerca di riportarlo sulla retta via, ma i dubbi e i ripensamenti per entrambi sono tanti, dolorosi, motivati.

A spezzare questa forza intensa (anche del vento) vi è Antioco, il chierichetto; un ragazzino che serve messa, accompagna il parroco, lo ammira, vuole imparare da lui, vuole diventare come lui. Elemento a contrasto con i patemi dei due personaggi principali, Antioco non vede il vero turbamento del parroco. Interpreta il biancore del viso o una lacrima di Paulo, durante un esorcismo, come esempio di afflato e di propensione al suo ruolo. Diventa elemento con il quale sia Maria Maddalena, in un primo momento, che Paulo, un pò più avanti, si confrontano senza rivelare il loro segreto. Antioco mantiene il passo, diventa quasi perno, non cede ai dubbi a lui presentati. Da leggere i dialoghi di Antioco e le risposte che egli dà, imperturbabile.

Grazia Deledda
Grazia Deledda

Grazia Deledda ha una scrittura precisa ed acuta; tocca forti temi in poche pagine: religione, rapporto tra madre e figlio, tradizione, superstizione, celibato, sacrificio, senso del dovere.

E' una scrittrice forse letta poco, nonostante sia stata insignita del Premio Nobel per la Letteratura nel 1926. Dal suo discorso di ringraziamento pronunciato al ritiro del Nobel traspaiono il suo attaccamento alla Sardegna, la sua umiltà e, soprattutto, il suo amore per la letteratura. Da ascoltare.

La Deledda dice "Sono nata in Sardegna. La mia famiglia, composta di gente savia ma anche di violenti e di artisti primitivi, aveva autorità e aveva anche biblioteca. Ma quando cominciai a scrivere, a tredici anni, fui contrariata dai miei." La sua caparbietà nello scrivere, nonostante fosse avversata sia dalla famiglia che dai suoi conterranei, la porta a produrre più di 50 volumi, tradotti in più lingue. E' stata anche traduttrice, sua è una versione italiana di Eugénie Grandet di Honoré de Balzac.

La Madre, romanzo di cui parlo, viene scritto dalla Deledda quando ormai viveva a Roma da molti anni, ma mantiene in pieno l'intento che aveva espresso in una lettera a Stanis Manca (critico e giornalista) che risale al 1891  "amo intensamente il mio paese ... e sogno di poter un giorno narrare, intesa, la vita e le passioni del mio popolo, così diverso dagli altri, così vilipeso e dimenticato e perciò più misero nella sua fiera, primitiva ignoranza". 

E' forte la presenza del paesaggio fatto di pietre e rocce, di strade sterrate; forte la presenza della gente di Sardegna, dei costumi e degli usi di quei tempi. Entrano fortemente nella storia insieme alle leggende ed alle superstizioni che fanno leva sulla madre già presa dall'angoscia di aver costretto il figlio ad un mestiere non desiderato. E' forte il sentimento del dovere e del sacrificio sia nella madre, così come in Paulo. E' forte anche il senso di riscatto della madre che da giovane era stata serva tra le strade di Aar, e Paulo riconosce il sacrificio fatto per lui accettando di entrare in seminario ed elevarsi ad una vita fatta se non di agi, di una posizione importante. 

"Solo più tardi, molto più tardi, aveva vinto questo suo istinto ignobile a furia di volontà e di orgoglio, e più s'era irragionevolmente vergognato della sua origine, più se n'era poi gloriato, di fronte a se stesso e di fronte a Dio, scegliendo per soggiorno il miserabile paesetto, e sottoponendosi a sua madre, rispettandone i voleri più umili e le abitudini più meschine."

Il rapporto tra madre e figlio non è fatto di molte parole, ma di gesti, di sottintesi, di protezione e di sguardi. Fino alla conclusione del romanzo vi è questa interazione tra i due, in un finale in cui si inserisce una forma di suspense che mi ha sorpresa per la consequenzialità con la quale è raccontata, passando da sguardo in sguardo, da respiro in respiro, da un personaggio ad un altro.

Massimo Onofri in "Fughe e rincorse: Ancora sul Novecento" pubblicato nel 2019, dice che "nel mondo della Deledda non c'è salvezza: in nessun senso." Non c'è salvezza nemmeno quando "viene accettata la sorte al di là di uno scontro tra carnalità e socialità, tra desiderio e legge".

Mi sono chiesta durante la lettura, soprattutto delle parti finali, se la Deledda avesse una preferenza in questo dualismo tra madre e figlio, tra il richiamo al dovere e la volontà di rincorrere il desiderio. Mi si è insinuato il dubbio che volesse lasciare una porta aperta ad una via che non prevedesse il sacrificio come unica scelta.

La Deledda è una scrittrice che mi ha stupita sia per la maniera in cui questo romanzo è scritto, sia per la sua storia personale. Conoscerla adesso non vuol dire aver perso del tempo, ma è un incentivo ad approfondire i suoi scritti e la sua letteratura.

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