Le cure domestiche di Marilynne Robinson
Evanescente. Quotidiana precarietà. Ricerca di se uscendo dai canoni di una vita ben delineata.
"Mi chiamo Ruth. Sono stata allevata, insieme a mia sorella più piccola, Lucille, da mia nonna, Mrs Sylvia Foster, e quando lei morì, dalle sue cognate, Miss Lily e Miss Nona Foster, e quando loro scapparono via, da sua figlia, Mrs Sylvia Fisher. Siamo passate da una generazione all'altra, ma abbiamo sempre vissuto nella stessa casa, la casa della nonna, costruita per lei da suo marito, Edmund Foster, un impiegato delle ferrovie che lasciò questo mondo molti anni prima che io ci entrassi."
Un incipit questo al quale si può assegnare il compito di tracciare la trama del libro di cui vi parlo.
Le Cure Domestiche è il primo romanzo che leggo di Marilynne Robinson, scrittrice statunitense. Sono felice di averlo fatto perchè ho deciso di dedicarmi ad un approfondimento della letteratura americana, partecipando ad un bel gruppo di lettura #madeinusa (lanciato sui social da Alessia @profumo_di_carta_e_inchiostro). Esplorerò, ancora più approfonditamente, questo mondo al quale mi sono avvicinata attraverso la scrittura di Paul Auster che, come saprà chi segue questa pagina, è uno dei miei scrittori preferiti.
Perchè l'incipit racconta la trama di questo romanzo? Perchè se volessimo riassumere i fatti narrati, non potremmo raccontarli diversamente da come fa Ruth all'inizio della storia. Ruth, voce narrante di tutto il romanzo, parte da quel che è un dato, Più generazioni a confronto, una casa, un luogo ben preciso attorno al quale ruota tutta la storia. Storia fatta da donne. L'unico uomo di cui realmente si ha prova e contezza è il nonno Edmund che ha costruito la casa per la famiglia su una collinetta di Fingerbone, cittadina della provincia americana nel Midwest.
Ruth non conosce il nonno, non lo ha mai visto. E' morto molti anni prima della sua nascita in un incidente ferroviario che incide nella storia di Fingerbone. Il treno sul quale viaggiava, vola da un ponte poco prima di arrivare in città, e finisce nel lago, inghiottito dalle acque scure e gelide. Nulla il lago ha mai restituito delle persone che erano su quel treno, però la presenza del nonno Edmund, delle sue passioni e di quello che ha costruito è ben presente in tutte le pagine del racconto.
Il riassunto rappresentato dall'incipit però non cita altri protagonisti di questa storia, che sono fondamentali e che imprimono la loro essenza nella vita di Ruth, Lucille e Sylvie. C'è Helen, la madre di Ruth e di Lucille che lascia le due bambine nel portico della casa in cui è cresciuta e scompare, gettandosi anche lei nel lago; c'è Fingerbone stessa, la cittadina che rimane sullo sfondo con i suoi abitanti tenuti lontani dai membri di questa famiglia che, quasi, non ha interesse ad integrarsi. Ma soprattutto c'è il lago, con le sue acque a volte calme, a volte agitate, limpide o gelide, luogo di gioco e di mestizia, che permea tutto l'ambiente intorno.
"E' vero che a Fingerbone si sente sempre la presenza del lago, o quella dei suoi abissi, o la mancanza di luce e di aria delle acque profonde. Quando il terreno è arato in primavera, tagliato e spalancato, che cosa esala dai solchi se non lo stesso acuto odore acquoso? Il vento è acquoso, e tutte le pompe, i ruscelli e i fossi hanno un odore di acqua scevra di qualsiasi altro elemento. Alla base c'è il vecchio lago, che è sepolto senza nome, e completamente nero."
Il lago è un elemento essenziale e presente attorno al quale si dipanano le vicende delle sorelle Ruth e Lucille, ma anche delle generazioni precedenti. E quindi non posso non sottolineare come un'altra protagonista del romanzo sia la famiglia che si esprime nel suo concetto di unione, di ricordo, di memoria, oltre che nel legame parentale tra tutte le protagoniste.
La famiglia che si disgrega, si disperde, esiste dapprima nel rapporto tra Lucille e Ruth, ma si separa quando Lucille sceglie di integrarsi e di scrollarsi di dosso il peso dei ricordi di chi non c'è più e di una casa che non ha fondamenta solide. Famiglia che ritrova la sua espressione massima nella costanza dell'unione tra Ruth e Sylvie. Sylvie riesce ad essere il perno tra il passato, il presente. Lei con il suo spirito vagabondo che non abbandona mai, lascia vivere le ragazze libere, senza costrizioni, le lascia scegliere. Costruisce un ambiente consono a se stessa, estraniante ed estraniata, nel quale si ritrova. Ambiente lontano da quello che gli abitanti di una cittadina di provincia come Fingerbone considerano adatto ad essere vissuto da ragazze adolescenti.
Quella che la Robinson scrive non è una storia affatto semplice. Bisogna entrarci facendosi trascinare dalle parole, cercando di capire cosa Ruth voglia raccontarci, uscendo dai canoni normali di una lettura di narrativa. E' un crescendo di sensazioni e di emozioni che poco hanno a che fare con i fatti che accadono a Ruth, a Lucille ed a Sylvie. Le cure domestiche non hanno nulla che possa essere rapportato ad un luogo fisico, ma si rivolgono più precisamente alla cura interiore, all'affetto, alle sensazioni che un individuo prova, costruisce, vive. La cura non è la tavola apparecchiata in modo preciso, non è la casa ordinata e profumata, ma è la luce, il buio, il profumo, l'odore, il vento, il respiro, i ricordi. Quello che dai sensi viene prodotto, che rimane e che viene ricordato.
Un romanzo questo pubblicato nel 1980, premiato con il PEN/Hemingway per la migliore opera prima e inserito stabilmente nelle reading list dei corsi universitari americani. E' uscito in Italia per la prima volta nel 1988 per Serra e Riva, con il titolo, forse poco adatto, di Padrona di casa. A lungo fuori stampa è stato riproposto da Einaudi nella traduzione di Delfina Vezzoli. Cliccando qui potrete trovare tutto il catalogo Einaudi delle opere della Robinson.
La fama italiana di Marilynne Robinson è legata alla trilogia composta da Gilead, Casa e Lila: tre romanzi strettamente interconnessi e pubblicati in un decennio esatto (dal 2004 al 2014), che vorrò approfondire più avanti. Dopo la pubblicazione de Le cure domestiche per più di un ventennio si dedica esclusivamente a recensire libri per la New York Times Book Review e ad una importante produzione saggistica di stampo filosofico. La fama della Robinson, ha subito ultimamente un'impennata maggiore grazie all'endorsement di Barack Obama, il quale non si è limitato a segnalare Gilead tra i suoi libri preferiti, ma ha intervistato la scrittrice per la New York Review of Books.
Cosa ho trovato nella lettura di questo libro? La conferma che la letteratura americana, si spinge verso una analisi dell'individuo in quanto tale. Approfondisce la ricerca del proprio destino non basandosi su eventi o fatti, ma sulla costruzione intellettuale del soggetto.
I fatti accaduti al nonno Edmund o quanto ha fatto Helen rimangono sempre fuori dal quadro del racconto, non vengono precisamente approfonditi, come se la loro presenza ed il loro essere siano sempre palesi e forti nelle somiglianze, negli oggetti di casa, nei disegni, in mezzo ai libri. Evanescenti, ma presenti. E costituiscono un percorso mentale che Ruth fa e ci fa fare leggendo il libro.
E' un punto di vista estraniante, che accompagna ad una consapevolezza che siamo il risultato di ciò che i ricordi, slegati dai fatti, ci consegnano. La realtà, la vita presente è una proiezione di quel che è stato o può essere cambiata, trasformata, diversa?