I quaderni del pianto di Marcela Serrano

26.04.2021

Un libro di poche pagine che si trasforma in un concentrato di emozioni. 

Per evitare di esserne pervasa, ho dovuto allungare la lettura e mettere un punto, ogni tanto. E' servito per non rischiare di perdere i particolari.

Marcela Serrano riesce a far provare forti emozioni in così poche pagine; lei e pochi altri riescono a farti entrare nell'animo dei protagonisti dei loro libri ed affrontare, con loro, quel che accade. Così facendo si comprendono le ansie, le paure, le gioie. Si capiscono i rischi che corrono pur di raggiungere un obiettivo, se la causa a cui protendi la ritieni giusta, leale, vitale. 

In questo libro si intrecciano tanti elementi: la povertà, la voglia di imparare, l'ignoranza, la superbia, la cattiveria, la dedizione, l'amore materno. E' uscito in Italia nel 2009, ma in lingua spagnola venne pubblicato nel 2008 con il nome "la Llorona" ossia "La Piagnucolona". 

Con questo nomignolo, la llorona, viene chiamata la protagonista del libro che inizia così: "Tu l'hai uccisa. Così mi dissero in paese. E mi chiamarono llorona, la piagnucolona." Questa della "llorona" è una leggenda del folclore sudamericano, che parla dell'anima in pena di una donna in lacrime per aver assassinato (o perduto) i figli. 

E qualche rigo più in giù dice "Sarei stata io l'assassina.... Ma quando le vicine di casa mi videro tornare a mani vuote, non mi credettero. Ma come ieri la bambina stava bene, dov'è il cadavere? e il funerale? niente. Andai al fiume come la vera assassina e piansi."

Queste frasi mi sono utili per spiegare la potenza della storia. Già dalla prima pagina ci troviamo immersi in un dramma. Una donna torna in paese dall'ospedale della Città in cui si era recata a partorire e, non ha la bambina con sè. Le dicono che è morta. Non vede il corpo. Non hanno potuto aspettare che lei tornasse dal paese per mostrarglielo e l'ospedale aveva fatto cremare il corpicino. Lei, che non ha nome perchè non rappresenta una donna, ma tante a cui è toccato il suo stesso destino, non ha pace. Non si convince. Si convince invece di essere stata vittima di un furto; si convince che la sua bambina sia stata rapita forse per essere consegnata ad un'altra mamma o peggio per il traffico di organi.

Il luogo neanche è citato. Siamo in una città qualsiasi del sudamerica dove "da sempre sparisce tutto. Le cose e le persone. Pensa alla bella trovata delle dittature militari, con i prigionieri politici desaparecidos, spariti." Lei non si arrende. Verrà anche dalla campagna, vive in un paese piccolo, in una casa modesta, ma ha studiato, si è diplomata, ha letto molti libri. Riesce ad impegnarsi a trovare indizi, tanto che troverà la chiave per scoprire la verità.

La condizione da cui partire è quella delle "maternità negate" per il puro e semplice lucro, l'amore per i soldi, tanti soldi. Togli a chi capisce poco e non si ribella! Quanti casi di cronaca affiorano alla mente!

L'elemento importante che esce nel prosieguo di questa storia incredibile e faticosa, è quanto abbiano valore lo studio, la lettura, la cultura. Le condizioni sociali della nostra protagonista non avrebbero potute essere migliori se lei, andando via dalla campagna per lavorare, non avesse incontrato qualcuno che l'ha fatta innamorare dei libri (e di se). Dice "Gli chiesi un libro in prestito. Gli raccontai che non avevo mai letto uno intero. Mi portò un libro di racconti. Poi un altro e un altro ancora. Diluvi eterni, generali falliti, case occupate, delitti della foresta. Qualunque dubbio avessi chiedevo a lui. Quando dimenticavo certi dettagli, lui mi diceva che non aveva importanza. Che erano le sensazioni a permanere. La lettura è un accumularsi di sensazioni, interpretavo io."

Marcela Serrano mi aveva convinta già con altri suoi libri. Certo, non tratta temi sempre allegri. Rimanda spesso al periodo della spietata dittatura di Pinochet, agli abusi, alle torture o al confino con essa connessi, all'esilio o alle infelici condizioni delle donne in una società come quella cilena. Con Noi che ci vogliamo così bene, Dieci donne, Quel che c'è nel mio cuore, L'albergo delle donne tristi, ha dimostrato che la voglia di indipendenza delle protagoniste, anche nelle situazioni più avverse, suscita in esse una forza e una capacità di resistere incredibili e, al contempo, fa affiorare risorse interiori rivoluzionarie come l'ironia e la fantasia. Con questo libro mi convince ancora di più. Il dolore e la sofferenza riescono a trovare voce nell'unione con altre donne che hanno subito lo stesso destino.

Lo consiglio anche a chi non ha mai affrontato la penna della Serrano. Potreste scoprire di che pasta è fatta!

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