L'Arminuta di Donatella Di Pietrantonio

19.10.2017

Questo è uno di quei libri che è piacevole leggere per lo stile discorsivo e per l'impronta di racconto in prima persona con cui è stato scritto.

La storia è molto particolare ed ha inizio nel periodo del boom economico, tra gli anni '60 e gli anni '70, dove però non era difficile trovare famiglie a cui le migliori condizioni economiche del paese non avevano portato quel respiro che invece ad altre famiglie ha dato. In quel contesto troviamo una famiglia povera, in un paese dell'entroterra abruzzese, con il padre/marito che lavorava in una fabbrica alla giornata, con poco nel piatto da mangiare e tanti figli da sfamare e dall'altro una coppia di sposi di stampo agiato, parenti alla lontana, che non potevano avere figli e che si offrono di aiutare una bambina a crescere, a studiare, a vivere in condizioni migliori.

Per cui la madre ed il padre poveri lasciano andare la loro piccola con meno di un anno di età insieme alla sua nuova famiglia con l'accordo di condividere gran parte della vita della piccola. Ma così di fatto non sarà.

Il racconto è fatto proprio da questa figlia, ormai adolescente, che si ritrova abbandonata per la seconda volta nella sua vita e che è "arminuta" alla famiglia di origine. Arminuta in dialetto abruzzese è "ritornata" o "restituita". Scritto con sentimento e conoscenza anche dei luoghi e del parlato, racconta le vicende della ragazza che si ritrova catapultata per scelte non sue, ma degli adulti, in una realtà che poteva essere sua, ma che non lo è stata e che quindi non conosce e non ama.

Si ritrova nelle varie fasi del racconto a lottare anche con i suoi stessi sentimenti, riconosce l'amore fraterno e forse intravede quello materno. Capisce molte cose della sua vita "pilotata" dagli adulti e cerca di affrontare al meglio le vicende che gli si parano davanti agli occhi.

Il racconto è veramente pungente e mette in evidenza la vita agiata vissuta fino ad un certo punto a confronto con la vita più dura ed acre che da un momento in poi la protagonista si ritrova a vivere.

L'inserimento nel discorso di modi di dire in dialetto abruzzese rendono il senso di quanto si legge ancor meglio che se fosse tutto scritto in italiano.

Per me che sono adottiva abruzzese è stato un piacere poter capire i modi di dire che ho ritrovato nel libro.

Lo rileggerei per sentire ancora il sapore di tante cose che ho sentito leggendolo e sicuramente lo farò molto presto.

Lo consiglio non solo perchè è stato premiato al Campiello, ma per quel che può dare ad ognuno la storia raccontata.

Personalmente mi ha aiutata a riflettere su una vicenda simile che non è capitata a me, ma ad un mio cugino che ho piacere a ricordare perchè non c'è più. Vincenzo/Venzano (dal suo nome in francese italianizzato) ha vissuto in parte una storia simile. La sua famiglia numerosa viveva (e vive ancora) nel sud della Francia e, più o meno negli stessi anni in cui si svolge la storia narrata in questo libro, una zia che non aveva avuto figli chiese ai genitori (era la sorella del padre) di poter crescere il bambino.

Tra varie vicessitudini, litigi che hanno coinvolto gran parte della grande famiglia da cui provenivano il padre e sua sorella (la zia che voleva adottare) alla fine Venzano è cresciuto con la zia. E' cresciuto nel pieno amore di sua mamma Pina e di suo padre Gino in un paesino della Calabria più a sud possibile, potendo vedere spesso, nel periodo delle vacanze, i suoi genitori e i suoi fratelli. La madre adottiva non gli ha mai fatto mancare nulla, nemmeno in termini di affetto.

Nell'età matura Venzano tornerà a vivere in Francia e fino agli ultimi giorni in cui mi ha scritto ed in cui abbiamo parlato, lui ha sempre chiamato mamma Pina e mai la sua vera mamma. Ha sempre creduto e pensato che la famiglia di origine non lo avesse voluto e non lo avesse amato.

Non so cosa capitasse quando li incontrava, non so se la madre che lo aveva partorito (ancora vivente peraltro) dimostrasse verso di lui l'amore che una madre ha verso i suoi figli. Non so se i fratelli, tanti veramente, avessero potuto costruire con lui un rapporto di amore e di unione che certamente tra loro esiste.

So di certo che la sorella più piccola, Silvana, che lo ha conosciuto pochissimo, soffre molto dell'assenza del fratello. So che i figli di Venzano non sono uniti alla famiglia di origine.

Quel che son sicura sia accaduto è che Venzano, nell'arco della sua vita, abbia vissuto un senso di abbandono e di infelicità incolmabile nei confronti della mamma e del papà (Lina e Massimo) che l'hanno messo al mondo. Anche il tanto amore della mamma adottiva non è riuscito a dirimere il dolore di cui crescendo ha preso consapevolezza.

Un ricordo affettuoso per il caro Venzano, che spero adesso abbia trovato la sua pace!

MRV

https://www.instagram.com/raccontarerosi/