Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio di Remo Rapino
Un perdente che si trasforma in un vincente!
Bonfiglio Liborio da Lanciano, "Cocciamatte" (che in abruzzese di pronuncia "cocciamatt") così come lo definiscono tutti al suo paese, si racconta in un libro intero. Racconta quasi un secolo di storia sua e d'Italia, in un flusso di parole e frasi fatte di un italiano misto a dialetto abruzzese, un linguaggio tutto suo che sembra non avere un codice preciso. I "segni neri" che tormentano Liborio si fanno sentire e vedere in tutte le pagine, facendo sorridere a momenti si ed a momenti no. Ti fanno prendere consapevolezza che se la vita non è assolutamente facile, per alcuni lo è ancor meno. Eppure Liborio vive più di ottanta anni e riesce a renderne l'idea. Il lettore (in questo caso io) alla fine del libro è consapevole del viaggio intriso di esperienze che il protagonista ha fatto, seppur nella condizione di "cocciamatt" in cui lui stesso si riconosce.
"Mò, quelli là, tutta la gente di sto cazzone di paese, vanno dicendo che sono matto. E mica da mò, che me lo devono dire loro, quelli là, gli altri, tutta la gente di sto cazzone di paese che sono matto. Pure io lo so, e sempre ci penso, notte e giorno, d'inverno e d'estate, ogni giorno che il Padreterno fa nascere e morire, con la luce e lo scuro, ci penso.." (incipit)
Forse in condizioni "normali" una persona non avrebbe la stessa forza d'animo che invece Liborio ha avuto.
Bonfiglio Liborio nasce il 22 agosto del 1926 a Lanciano, anche se non lo dice mai, ma la riconoscono i più la cittadina, per i riferimenti alle feste e ad alcuni fatti accaduti che vengono raccontati nel libro. Non appartiene ad una famiglia benestante, vive con la mamma Maria e con il nonno Peppe (socialista, ma di Nenni). Non conosce il padre, di cui ha gli occhi tali e quali, (come gli ha detto la mamma), ma non sa nemmeno dove sia andato a finire. Per i "segni neri" che lo seguono dalla nascita ed a cui attribuisce tutto quel che gli capita (ed in effetti gliene capita di ogni) rimane da solo. Ogni passaggio della sua vita, dall'infanzia alla vita adulta viene raccontato da Liborio in un linguaggio semplice, facile, descrittivo, chiaro. Sembra di essere accanto a lui in ogni momento per quanto è realistico.
Liborio passa attraverso la seconda guerra mondiale, era in piazza, ragazzino, ad ascoltare il messaggio del Duce alla radio di quando l'Italia entra in guerra, assiste all'occupazione nazista, assiste all'assalto della brigata partigiana "maiella" contro i nazisti, cresce in fretta, vede la trasformazione del paese, vede le macerie, la povertà, la fine della guerra, la nascita della repubblica, le prime elezioni nazionali, partecipa attivamente ad un partito politico, diventa fiommista, emigra in Alta Italia, fa molti lavori, attraversa guai ed avventure al limite dell'assurdo, arriva ai giorni nostri, ai tempi moderni dove tutto corre. E attraversa i tempi moderni in punta di piedi e con i sassi nelle tasche. Liborio lo dice di essere cocciamatte e ne è convinto, ma "ci voleva casomai un magaro bravo, per avvisare, dare un consiglio, guarda che ti aspettano giorni tristi, occhio alla penna, smircia a come ti muovi, vai con chi è meglio di te e fagli pure le spese, insomma cose di questo genere, che uno si prepara e ci va con i piedi di piombo a fare e dire quello che c'era da fare e da dire. Invece niente."
La Giuria dei Letterati del Premio Campiello ha deciso di premiare la storia dello stralunato Liborio, una via di mezzo tra il classico scemo del villaggio e il folle, il pazzo illuminato. Il folle è un uomo pieno di entusiasmo, ha una sua visione del mondo che porta a scoprire ed a vedere aspetti che i più non scorgono. "La follia è un'energia insopprimibile che se esplode, può farlo in vari modi, anche corretti. Può mettere in dubbio le nostre certezze e ci dice che esistono altre verità." (Cit. Rapino)
Bonfiglio Liborio è un personaggio inventato, ma, dice il suo scrittore, tutti i fatti sono reali e le cose che gli accadono sono accadute realmente ad altre persone. A più persone!
Mi ha colpito la storia, ma ancora di più il modo con il quale è stata raccontata. Un linguaggio tutto suo, il dialetto della sua zona che utilizza molto per descrivere i sentimenti, parole anche inventate alle quali si fa l'abitudine andando avanti nella lettura, e sarà facile collocarle e trovare il giusto significato.
Quando ho chiuso il libro sono rimasta un pò interdetta. Ho dovuto elaborare un pò, leggere interviste, cercare di capire come riporre il libro nella mia libreria. Un lettore non credo abbia il dovere di farsi piacere un libro per forza, credo però che debba capire cosa quel libro gli abbia lasciato. Ebbene, Liborio sicuramente mi ha fatto molta tenerezza, mi ha fatto pensare molto a coloro che sono emarginati ed ai quali non facciamo molto caso quando li incrociamo per strada. Eppure sono "vite", hanno una mente, hanno dei ricordi, soffrono, ridono, pensano, hanno certamente da raccontare. Bisognerebbe imparare ad ascoltarli, chissà quante cose potremmo imparare!
Remo Rapino ha fatto questo, ha dato voce agli emarginati. Fa capire che anche loro possono raccontare tanto, anche un secolo di storia e possono essere limpidi, curiosi, pieni di risposte e di interrogativi (così come fa Liborio fino alla fine).
E poi possono vincere un Premio come il Campiello e raccontare ancora la loro storia per molto tempo.